IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di rimessione alla Corte
costituzionale   di   questione  di  legittimita'  sollevata  in  via
incidentale.

                          Ritenuto in fatto

    In  data 2 aprile 2004, ore 12.00, Creskova Natasha veniva tratta
in  arresto  in  ordine  al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter del
decreto legislativo n. 286 del 1998, come inserito dall'art. 13 della
legge n. 189 del 2002.
    Condotto  all'odierna  udienza per la convalida ed il contestuale
giudizio  direttissimo,  udita  la  relazione  dell'agente operante e
sentito  l'arrestato,  il  pubblico ministero richiedeva la convalida
dell'arresto senza applicazioni di misura cautelare.
    Il difensore dell'arrestato chiedeva di non convalidare l'arresto
e sollevava questione di leggittimita' costituzionale.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Ritiene  il  tribunale  che  vada  sollevata  questione di
legittimita'  costituzionale  del  comma 5-quinquies dell'art. 14 del
decreto  legislativo  n. 286 del 1998, come inserito dall'articolo 13
della  legge  n. 189  del 2002, nella parte in cui prevede che per il
reato  previsto  dal precedente comma 5-ter e' obbligatorio l'arresto
dell'autore  del  fatto e si procede con rito direttissimo, dubitando
della conformita' di tale disciplina rispetto agli artt. 13 e 3 Cost.
    2.  - Preliminarmente, osserva il tribunale come la questione sia
rilevante  nel  presente  giudizio,  ancorche', per le ragioni che si
esporranno tra breve, l'imputata sia stata rimessa in liberta'.
    Invero,  la  remissione  in  liberta'  dell'arrestato,  prima del
giudizio  sulla convalida (che a sua volta presuppone lo scioglimento
della questione relativa alla conformita' costituzionale o meno della
disciplina   dettata  dal  legislatore  con  riferimento  all'arresto
obbligatorio  per tale reato), e' stata determinata dalla circostanza
che  -  non  avendo  chiesto  il  pubblico  ministero  alcuna  misura
cautelare  personale  nei confronti dell'arrestato, peraltro comunque
non  applicabile  in  ragione  del  titolo  di  reato  -  l'eventuale
convalida  dell'arresto  avrebbe prodotto esclusivamente l'effetto di
accertare  la legittimita' dell'operato della polizia giudiziaria che
all'arresto  aveva  proceduto, non potendo comunque la mera convalida
costituire  valido  titolo per la protrazione della limitazione della
liberta' personale dell'imputato.
    D'altro  canto, codesta Corte costituzionale ha gia' ritenuto che
laddove   il   giudice   a  quo  sollevi  questione  di  legittimita'
costituzionale  in relazione alla disciplina dettata per la convalida
dell'arresto, avendo rimesso in liberta' l'arrestata (nella specie in
quanto   non  potevano  essere  rispettati  piu'  i  termini  di  cui
all'art. 391,  comma  7,  ultima  parte c.p.p.), la persistenza della
rilevanza  della  questione  trova ragione nell'interesse generale ad
una  pronuncia  sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre
determinato  una limitazione della liberta' personale, trattandosi di
stabilire  le  ragioni  in  base  alla  quale e' comunque avvenuta la
liberazione   (con   effetto   ex   nunc   se   l'arresto  era  stato
legittimamente  eseguito,  con  efficacia ex tunc se, alla luce della
pronuncia    della   Corte,   dovesse   ravvisarsi   l'illegittimita'
dell'arresto stesso: sent. 16 febbraio 1993, n. 54).
    Nel  presente giudizio, deve appunto verificarsi se il periodo di
privazione  della  liberta'  personale  dell'imputata arrestata sulla
base   della   disposizione   di  cui  si  dubita  la  conformita'  a
Costituzione,  il  giorno  2 aprile 2004 alle ore 12,00, e rimesso in
liberta'  all'odierna  udienza,  sia  stato  sorretto  o  meno  da un
legittimo titulus detentionis.
    Da cio' deriva che la questione e' ancora rilevante.
    3.  -  Per  quanto  attiene alla non manifesta infondatezza della
questione,  nei  termini che si andranno ora a precisare, va rilevato
anzitutto   che,   secondo  la  disciplina  dettata  dal  legislatore
ordinario,  l'arresto dell'autore del reato di cui all'art. 14, comma
5-ter  decreto  legislativo  n. 286  del  1998,  e' obbligatorio, non
consentendo dunque ne' alla polizia giudiziaria ne', successivamente,
al  pubblico  ministero  che  ne  disponga  la  presentazione  per la
convalida,  e  quindi  al giudice che debba decidere sulla convalida,
alcuna  valutazione  di  merito  (a prescindere dalla sussistenza del
fumus  commissi  delicti  e  del  rispetto  dei termini dettati dalla
legge).  In  particolare (trattandosi di arresto obbligatorio) non e'
allo  stato  consentita  ai  fini  del  giudizio  di convalida alcuna
valutazione  in  ordine  alla  concreta  gravita'  del  fatto  e alla
personalita'  del  suo  autore,  sia  pur  in relazione agli elementi
fattuali  conosciuti dagli operanti al momento in cui l'arresto hanno
eseguito  (a  differenza  dei  casi di arresto facoltativo: v. Cass.,
Sez. IV, 29 settembre 2000, Mateas Ion, CED Cass., n. 218474).
    Ebbene, sotto un primo profilo, l'automatismo tra commissione del
reato  in  questione ed obbligo di arresto appare a questo giudice di
dubbia  compatibilita'  con  la  disciplina che la Carta fondamentale
prevede all'art. 13 per la tutela della liberta' individuale.
    4.  -  Il  reato  di  cui  al comma 5-ter del decreto legislativo
n. 286  del  1998  sanziona  la  condotta  dello  straniero  che,  in
violazione dell'ordine di lasciare il territorio dello Stato entro il
termine  di  cinque  giorni impartito dal questore ai sensi del comma
5-bis (ossia quando non sia possibile ne' l'immediata espulsione, ne'
il  trattenimento  presso  un centro di permanenza temporanea, ovvero
siano  trascorsi  i  termini  di  permanenza),  vi si trattiene senza
giustificato motivo nel territorio dello Stato.
    La  pena  prevista  per  tale reato e' quella dell'arresto da sei
mesi ad un anno, e dunque trattasi di contravvenzione.
    Conseguenza  della  configurazione  del  reato  in  oggetto quale
contravvenzione  e'  (oltre  alla  sua  punibilita' anche a titolo di
colpa)  che  all'esito del giudizio di convalida non e' in alcun caso
possibile   l'applicazione  di  alcuna  misura  cautelare  personale.
Infatti, secondo la disciplina dettata nel codice di procedura penale
(e non derogata nel decreto legislativo n. 286 del 1998, neppure dopo
le  modifiche  apportate dalla legge n. 189 del 2002) nel caso in cui
sia  consentito  l'arresto per delitto e' possibile l'applicazione di
misure  cautelari  coercitive,  anche  al di fuori dei limiti di pena
previsti  dagli  artt. 280  e 274, lett. c) c.p.p. (art. 391, comma 5
c.p.p.).  Nel caso di specie, invece, trattandosi di contravvenzione,
non  puo'  operare  la clausola derogatoria suindicata, espressamente
riferita solo ai delitti.
    In   sintesi,  la  misura  precautelare  adottata  dalla  polizia
giudiziaria  (in  via  obbligatoria)  non  puo'  mai  essere seguita,
neppure  nei  casi in cui si dovessero ravvisare particolari esigenze
cautelari  (ed in specie il pericolo di reiterazione della condotta),
dall'applicazione  di  una  misura coercitiva in esito al giudizio di
convalida dell'arresto.
    5.   -   L'art. 13  della  Costituzione,  dopo  avere  dichiarato
l'inviolabilita'  della  liberta'  personale, prevede che le forme di
compressione  della  liberta'  personale possono essere adottate solo
per  atto  motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi
previsti dalla legge.
    In   casi   eccezionali   di   necessita'  ed  urgenza,  indicati
tassativamente  dalla  legge,  l'autorita' di pubblica sicurezza puo'
adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro
quarantotto  ore  all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li
convalida  nelle  successive quarantotto ore, si intendono revocati e
restano privi di effetto.
    A  parere  di  questo giudice la disciplina costituzionale sembra
configurare un sistema in cui il potere, di natura eccezionale, della
polizia  di procedere all'arresto di persona indiziata di reato opera
nelle  situazioni in cui non e' possibile l'intervento dell'autorita'
giudiziaria   (l'unica   ordinariamente   competente  a  disporre  la
privazione della liberta' personale). Se cosi' e', un primo motivo di
dubbio  in  ordine  alla  legittimita'  della  disciplina in oggetto,
consiste  nel  fatto  che  solo  la polizia giudiziaria puo' per tale
reato  disporre l'arresto, senza che a cio' possa mai seguire (se non
nei  termini di mera convalida dell'arresto eseguito) l'atto motivato
dell'autorita'  giudiziaria che valga, sussistendone i presupposti, a
protrarre  lo  stato  di  detenzione  del  soggetto  arrestato in via
d'urgenza dalla polizia.
    In  tal  modo,  appare  spezzato  il  nesso  di  strumentalita' e
provvisorieta' che lega potere eccezionale e interinale di intervento
della  polizia ed esercizio del potere giurisdizionale di limitazione
della liberta' personale.
    D'altro  canto, anche codesta Corte, nell'affrontare la questione
relativa  alla  mancata  previsione  della  riparazione  per ingiusta
detenzione in caso di arresto o fermo non seguito da misura cautelare
coercitiva  (sent.  2  aprile  1999,  n. 109),  ha  rilevato  che  la
provvisorieta',  che  contraddistingue  i  poteri di intervento della
polizia  giudiziaria sulla liberta' personale (che vale ad attribuire
all'arresto ed al fermo la denominazione di «precautele») non elimina
la natura «custodiale» delle misure indicate.
    Ulteriore  argomento  a  sostegno  di tale natura sostanzialmente
«custodiale»  della  detenzione  conseguente all'arresto e precedente
alla   convalida   sembra   possa   ricavarsi   anche   dal  disposto
dell'art. 121 disp. att. c.p.p.
    Infatti  il  potere-dovere  del  pubblico  ministero  di disporre
l'immediata liberazione dell'arrestato senza attendere il giudizio di
convalida  nel  caso in cui ritenga di non dovere chiedere al giudice
l'applicazione  di misure coercitive ha l'evidente fine di evitare al
soggetto   una   limitazione   della   liberta'  personale  (sia  pur
temporalmente  delimitata e soggetta a convalida) nei casi in cui non
vi  sara',  per  difetto  di  domanda  cautelare,  la possibilita' di
applicazione di misure coercitive, unico titolo idoneo a protrarre la
limitazione della liberta' personale.
    Cio',   a   parere  di  questo  giudice,  depone  per  la  natura
chiaramente  strumentale  ed  anticipatoria  del  potere  di  arresto
attribuito  alla  polizia  rispetto alla tutela di esigenze cautelari
all'interno del processo penale.
    Nel    caso    di   specie,   invece,   risulterebbe   attribuito
esclusivamente     alla    polizia    un    potere    di    arrestare
(obbligatoriamente),   senza  che  tale  arresto  sia  funzionalmente
collegato ad alcuna esigenza cautelare processuale ritenuta rilevante
(appunto  non  essendo  possibile  al giudice applicare alcuna misura
cautelare coercitiva).
    D'altronde,  appare  anche  arduo  rinvenire  altre  esigenze (di
natura  extraprocessuale)  a  sostegno di tale potere di arresto (che
comunque  si  fonda  sul presupposto della commissione di un illecito
penale ed e' inserito all'interno di un procedimento penale).
    Invero,  trattandosi di reato avente natura permanente non appare
sostenibile  che  l'arresto  ne  interrompa  la  consumazione, che si
protrae  finche'  lo  straniero  non  si  allontani (spontaneamente o
coattivamente) dal territorio dello Stato.
    Ne'   puo'  dirsi  che  l'arresto  sia  funzionale  all'effettiva
esecuzione  dell'espulsione.  Infatti,  in  primo  luogo ai sensi del
comma  5-ter  l'accompagnamento  alla  frontiera  a mezzo della forza
pubblica prescinde dall'arresto e dal relativo giudizio di convalida.
Per altro verso, a norma del comma 5-quinquies, in caso di arresto il
questore puo' disporre i provvedimenti di cui al comma 1 dello stesso
art. 14  (ossia  il  trattenimento  presso  i  centri  di  permanenza
temporanea);  facolta' questa attribuita sin ab origine all'autorita'
amministrativa   e   la   cui   impossibilita'  di  attuazione  aveva
determinato l'intimazione ad allontanarsi.
    Sempre con riferimento alla disciplina delineata dal legislatore,
va  rilevato  che anche la previsione che in relazione all'arresto in
oggetto si procede con rito direttissimo, solleva perplessita'.
    Non,  ovviamente,  in  ordine alla previsione in se', chiaramente
rientrante   nelle   scelte   del   legislatore,  ma  in  riferimento
all'effettiva praticabilita' di tale rito.
    Infatti,  a  norma  dell'art. 121  disp. att. c.p.p., il pubblico
ministero  deve  disporre  la liberazione dell'arrestato (prima della
convalida)  quando «ritiene di non dover richiedere l'applicazione di
misure coercitive». Ebbene nel caso di specie, l'applicazione di tale
norma  imporrebbe  -  trattandosi  di reato che non consente in linea
generale  l'applicazione  di  nessuna  misura  coercitiva - sempre al
pubblico    ministero    di    disporre    l'immediata    liberazione
dell'arrestato, senza attendere il giudizio di convalida.
    In  tal  caso  (che  come  detto  dovrebbe  essere  la regola) il
giudizio  direttissimo  - almeno nella sua forma tipica, ossia con la
presentazione  dell'imputato  in  vinculis  per  la  convalida  ed il
contestuale  giudizio  -  non  sarebbe  mai  possibile.  Il  pubblico
ministero  dovrebbe  infatti  chiedere  al  giudice  per  le indagini
preliminari  la  convalida con l'imputato ormai libero (convalida pur
sempre  doverosa, ma non piu' soggetta ai termini di cui all'art. 391
c.p.p.: per tutte, si veda Cass.., sez. V, 22 maggio 1998. Azemi, CED
Cass  n. 213973) e successivamente disporre la citazione dello stesso
dinanzi al tribunale monocratico a norma degli artt. 558 e 449, comma
4.  Cio',  peraltro,  solo  nel caso in cui la convalida intervenga a
brevissima  distanza  di  tempo dall'arresto, in quanto tale forma di
giudizio   direttissimo   e'   possibile  solo  se  la  presentazione
dell'imputato  (in  vinculis  o  mediante  citazione)  avviene  entro
quindici giorni dall'arresto.
    Potrebbe  pero'  ritenersi,  in  considerazione  della disciplina
complessiva  delineata  e delle irrazionalita' sopra evidenziate, che
il  legislatore  abbia  inteso  derogare  la disciplina dell'art. 121
disp.att.  c.p.p., imponendo al comma 5-quinquies in oggetto comunque
la  presentazione  dell'imputato in stato di arresto per la convalida
ed il giudizio direttissimo.
    Tale  conclusione,  cui  sembra anche il pubblico ministero abbia
aderito   (non   avendo   infatti  disposto  l'immediata  liberazione
dell'arrestato,  pur  non richiedendo alcuna misura cautelare, con la
specificazione  che  le  stesse  non  sono  in assoluto applicabili),
solleverebbe ulteriori seri profili di illegittimita' costituzionale,
avendo,  secondo  tale tesi, il legislatore dettato - solo per questo
reato,   perdipiu   avente  natura  contravvenzionale  -  una  deroga
all'operativita' di norma chiaramente ispirata al favor libertatis (e
che e' applicabile in generale a tutti i delitti, anche assai gravi).
    Peraltro  tale  questione  non appare nella specie rilevante, non
potendo  il giudice della convalida sindacare il mancato esercizio da
parte   del   pubblico   ministero  della  facolta'  di  ordinare  la
liberazione immediata dell'arrestato ex art. 121 disp.att.
    6.  -  La  questione appare non manifestamente infondata anche in
riferimento all'art. 3 Cost.
    Infatti,  appare  al tribunale di dubbia conformita' al principio
di  ragionevolezza  che il legislatore abbia, da un lato, configurato
l'illecito  in  questione  come  mera  contravvenzione (come tale non
suscettibile   di   supportare  l'applicazione  di  misure  cautelari
coercitive),  e  poi abbia imposto all'autorita' di polizia l'arresto
obbligatorio   dell'autore   dello  stesso,  consentendo  dunque  una
privazione  della  liberta'  personale (sia pur in forma precautelare
per una durata massima di 96 ore). Se infatti la scelta relativa alla
qualificazione  di  una  fattispecie  quale delitto o contravvenzione
nonche'  la  determinazione della pena appartiene (fatti salvi i casi
di  manifesta  incongruita'  per eccesso) alla sfera di insindacabile
scelta  del  legislatore,  sembra  che  nella delineata disciplina si
rinvengano profili di incongruenza difficilmente giustificabili.
    Invero,  la natura di arresto obbligatorio impone alla polizia di
procedere   comunque  all'arresto  indipendentemente  dalla  concreta
gravita'  del  fatto  (si  pensi  ad  un  ritardo  di  un solo giorno
nell'allontanarsi  dal  territorio nazionale, ovvero alla difficolta'
nel  procurarsi  i  necessari  documenti  od  il  titolo  di viaggio;
questioni  che non appaiono rilevanti in sede di convalida di arresto
obbligatorio)  o  alla pericolosita' sociale dell'autore (ben diversa
apparendo  ad esempio, la pericolosita' sociale di soggetto del tutto
incensurato  od  invece  gravato  da  precedenti  penali  e che abbia
fornito differenti generalita' all'atto dei controlli di polizia).
    7.  -  Una  previsione  di  arresto  obbligatorio,  se non sembra
censurabile  quando  sia  dettata in relazione a reati oggettivamente
gravi  (connotati  come  delitti), appare al contrario non conforme a
principi  di  ragionevolezza  se  collegata alla commissione di reati
(che lo stesso legislatore ritiene obiettivamente) non gravi.
    In  tal  caso,  infatti, si impone una limitazione della liberta'
personale (che puo' protrarsi sino a 96 ore) senza alcuna valutazione
(ne'   da   parte   della  polizia  che  ha  l'obbligo  di  procedere
all'arresto, ne' da parte del giudice in sede di convalida) in ordine
alla concreta gravita' del fatto-reato.
    Ritiene   questo  giudice  che  elementi  a  sostegno  della  non
manifesta  infondatezza della questione sollevata si rinvengano anche
in alcune, sia pur risalenti, pronunce di codesta Corte.
    Nella  sentenza  n. 211  del 1975, pur rigettando la questione di
legittimita' sollevata in riferimento alla previsione dell'arresto di
cui  all'art. 220 T.U.L.P.S. - in particolare per i contravventori al
foglio  di via obbligatorio - si e' infatti chiarito che, pur essendo
legittima  una  deroga  rispetto  ai  criteri  generali  dell'entita'
obiettiva  del  reato e della pena edittale, l'arresto eseguito dalla
polizia per tale fattispecie (contravvenzione punita con l'arresto da
tre  mesi  ad  un  anno)  non  poteva  sottrarsi  alla  garanzia  del
«controllo  di  legittimita'  e  di  merito  da  parte dell'autorita'
giudiziaria,  di  cui  all'ultima  parte del terzo comma dell'art. 13
(Cost.) e dell'art. 236 del codice di procedura penale» (disposizione
quest'ultima   che   prevedeva   appunto   l'arresto  facoltativo  in
flagranza).
    Ugualmente,  nella  sentenza  n. 64  del  1977, e relativa ad una
questione  di  legittimita'  sollevata in riferimento alla previsione
dell'art. 9  della  legge  n. 1423 del 1956 (che consentiva l'arresto
dei contravventori agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale:
contravvenzione  punita  all'epoca  con  l'arresto  da tre mesi ad un
anno), la Corte ha rilevato che resta salvo comunque il potere-dovere
dell'autorita'  giudiziaria  di controllare e motivare la sussistenza
in concreto dei requisiti legittimanti l'intervento, di necessita' ed
urgenza, della polizia.
    Da  tali sentenze sembrerebbe doversi trarre il principio che, in
relazione  a  fattispecie  contravvenzionali  punite con modeste pene
detentive,  l'arresto ad opera della polizia (e dunque non fondato su
atto  motivato  dell'autorita'  giudiziario,  ad es. in esecuzione di
sentenza  irrevocabile  di condanna, ma ispirato alla salvaguardia di
eccezionali  ragioni  di  necessita'  ed  urgenza) sia legittimo alla
condizione  che  possa  essere  valutata nel concreto la gravita' del
fatto,  in  relazione  sia  alla  condotta  dell'autore  che alla sua
personalita'.
    In caso contrario, la limitazione della liberta' personale (nella
fase  precautelare)  risulterebbe  imposta  dalla  legge  su  di  una
presunzione  assoluta  di  pericolosita'  sociale  dell'imputato, che
appare  in  contrasto  con  la modesta gravita' del reato (cosi' come
determinata dal legislatore).
    D'altronde,  se  non ci si sbaglia, l'ordinamento, pur conoscendo
altre  ipotesi di contravvenzioni per la quali e' previsto l'arresto,
contempla  per  tali casi solo la facolta' per la polizia giudiziaria
di   trarre   in   arresto   l'autore   dei  reati  contravvenzionali
(v. l'art. 6,  comma 2,  d.l.  26 aprile  1993,  n. 122,  conv.,  con
modificazioni,  nella  legge  25 giugno  1993,  n. 205),  dunque  non
configurando ipotesi di arresto obbligatorio.
    L'eccezione,  prevista solo per il reato contestato all'imputato,
appare  pertanto  dubbiamente  compatibile  con  il  principio di cui
all'art. 3 Cost.
    D'altronde,   un'altra   ragione   di  perplessita',  sempre  con
riferimento all'art. 3 della Carta fondamentale, puo' ricavarsi dalla
considerazione  che  nel comma 5-quinquies dell'art. 14 d.lgs. n. 286
del  1998,  l'obbligo di procedere all'arresto e' previsto sia per il
reato  di  cui  al  comma 5-ter,  che per quello di cui al successivo
comma 5-quater (che consiste nel fatto dello straniero che espulso ai
sensi  del  comma 5-ter  dallo  Stato  vi  rientri),  che  ha  natura
delittuosa  ed  e'  punito  con  la reclusione da uno a quattro anni.
Ebbene,  dubbiamente  compatibile  con  il  principio  di uguaglianza
appare  prevedere  l'obbligo  di arresto per fattispecie cosi diverse
tra  loro,  in  relazione alla natura del reato, alla pena edittale e
alla  possibilita'  di applicare misure coercitive (consentita per il
delitto ed esclusa per la contravvenzione).
    Per  converso,  la dubbia conformita' al principio di uguaglianza
della  norma  in oggetto si apprezza considerando che, in riferimento
al reato di cui all'art. 13, comma 13, del decreto legislativo n. 286
del  1998  (come modificato dalla medesima legge n. 189 del 2002) che
punisce,  con l'identica pena dell'arresto da sei mesi ad un anno, lo
straniero  espulso  che  rientri nel territorio dello Stato senza una
specifica  autorizzazione del Ministro dell'interno (condotta che non
appare  meno  grave di quella oggetto del reato di cui al comma 5-ter
dell'articolo 14),   e'   previsto  l'arresto  facoltativo  (art. 13,
comma 13-ter, decreto legislativo n. 386 del 1998).
    Naturalmente,    tali    ragioni    di   dubbio   rispetto   alla
costituzionalita'  della norma verrebbero meno laddove in riferimento
alla   contravvenzione   di   cui   al  comma 5-ter  l'arresto  fosse
facoltativo.
    La  facoltativita'  dell'arresto  - oltre ad eliminare profili di
irragionevoli  disparita'  di trattamento rispetto alle altre ipotesi
di  reato  descritte - tutelerebbe infatti il diritto dell'imputato a
vedersi  limitato  nella  liberta'  personale solo laddove sussistano
concrete  ragioni  (da porre a fondamento dell'arresto e verificabili
da   parte   del  giudice)  che  giustifichino,  nel  caso  concreto,
l'adozione  della  misura  precautelare  riferita  ad  ipotesi avente
natura contravvenzionale.
    In  tal modo, non si riscontrerebbe alcuna violazione dell'art. 3
Cost., apparendo, sotto questo profilo, a questo giudice il dubbio di
legittimita'  integrato  non  dalla  previsione di una facolta' della
polizia  giudiziaria  di procedere all'arresto (cio' rientrante nelle
scelte  discrezionali  del  legislatore),  ma  solo  nell'automatismo
commissione  del reato (avente natura contravvenzionale) - obbligo di
procedere all'arresto.
    8.  -  Sciogliere  il  dubbio se tali profili non integrino alcun
vizio  costituzionalmente  rilevante  (la disciplina positiva dettata
rientrando  comunque  nella discrizionalita' del legislatore) ovvero,
come  sospetta questo tribunale, si risolvano in una violazione delle
norme    della   Carta   fondamentale   suindicate,   e'   competenza
costituzionalmente  riservata  a  codesta Corte, alla quale dunque va
rimessa la questione, che per quanto innanzi esposto appare rilevante
e non manifestamente infondata.